L’Università di Cinema e Teatro di Budapest sospende l’occupazione per le nuove misure anticovid. Difendono la loro libertà accademica dal 1 settembre.
E’ il giorno prima della grande chiusura a Budapest, del coprifuoco dalle 20, l’ultimo giorno in cui i bar sono aperti, i ragazzi delle superiori vanno a scuola e in cui si può girare per strada senza mascherina. E’ anche l’ultimo giorno in cui i ragazzi dell’Università di Teatro e Arte Cinematografica di Budapest salgono sul tetto dell’istituto, un palazzo modernista in Vas utca, via del ferro, una traversa della corticosa piazza Blaha, con la mascherina gialla con la mano nera che dice fermatevi di qui non si passa. Con una conferenza stampa e un’ultima coreografia è terminata ieri l’occupazione istituzione fondata nel 1855 e che ha formato tutti i più grandi artisti d’arte drammatica ungherese tra cui, per restare al cinema, almeno quattro premi Oscar, compreso il vincitore della statuetta per il miglior film straniero nel 2015, Laszlo Nemes.
L’occupazione era iniziata il 1settembre in risposta alla nomina del nuovo rettore ultraconservatore da parte del governo, quell’Attila Vidnyanski che in pochi anni è diventato il padrone assoluto della cultura sotto Orban, che crede nel primato della nazione e della religione cattolica, sua la nomina simbolica e non che 5 anni fa ha tolto il geniale Alfoldi Robert, anticonformista e gay dichiarato, dalla direzione del Teatro Nazionale Ungherese. nomina che scavalcava completamente il senato accademico e accelerava i tempi della privatizzazione dell’università. E’ questo il metodo ingegnoso con cui il sistema Orban sta prendendo possesso del mondo dell’accademia ungherese: privatizzazioni guidate dal governo a far diventare le università fondazioni con un organo direttivo molto vicino all’esecutivo. L’esempio più fulgido è l’Università Corvinus, famosa per gli indirizzi economici e relazioni internazionali, fucina della classe dirigente ungherese che è da anni guidata dal filosofo conservatore Lanczi Andras. Un controllo sulla cultura molto caro ai neocon americani, come spiega Nancy MacLean in Democracy in Chains. Siamo poi in Ungheria, in cui la scena teatrale è sempre stata il luogo d’elezione della vita culturale della nazione, dell’elaborazione del pensiero critico di Budapest e delle principali città ungheresi, non il cuore del paese che vota Orban.
L’occupazione finisce il 10 novembre, il giorno prima dell’entrata in vigore delle misure anticovid del governo che chiudono i collegi universitari, compreso quello all’interno dell’istituto dell’accademia in cui vivono i ragazzi che hanno occupato l’accademia, e che vietano le riunioni private di più di 10 persone, come altro definire l’occupazione, nè si vuole mettersi contro le leggi dello stato e offrire un pretesto al governo di macchiare una protesta che finora si è distinta per fantasia, correttezza delle forme, e che ha raggiunto il culmine con la formazione di una catena umana che ha unito l’università al parlamento per poi passarsi di mano in mano la pergamna con le richieste degli studenti. Oggi si chiude, c’è la conferenza stampa, i ragazzi sulla balaustra, l’ingresso completamente tappezzato col nastro bianco e rosso del divieto di ingresso diventato uno dei simboli della protesta dei ragazzi e di chi nn accetta questo attacco alla libertà accademica. Non è raro girando per Budapest vederlo spuntare dalle grate di una finestra, o dal passeggino di una mamma.
Il braccio di ferro che durava da un paio di mesi, con attacchi e colpi bassi, dalla nomina di un cancelliere ex militare di carriera, taglio di internet e minacce di annullare l’anno scolastico finisce oggi, ma” “l’occupazione non termina, la portiamo via con noi. Noi siamo l’università, l’occupazione rimarrà finchè resterà la pressione del potere” hanno detto gli studenti.