La domenica la rassegna stampa si prende un giorno di riposo, ecco allora un post più lungo da lettura domenicale, in cui riprendo dalla pagina Fb (link) dello scrittore Krisztian Nyari, il racconto dell’ultima grande epidemia, e susseguente campagna vaccinale, che colpì Budapest: il tifo che fece la sua comparsa nel 44, nell’ultimo inverno di guerra con gli ebrei ammassati nel ghetto ebraico e Budapest stretta tra l’assedio dell’armata rossa e la disperata resistenza dei tedeschi e del governo fantoccio delle Croci Frecciate di Szalasi. In due mesi, tra le macerie della guerra, fu vaccinata tutta la popolazione a rischio della città, circa 250.000 persone.
Il tifo arrivò a Budapest nell’autunno del ’44, sospinto delle pessime condizioni igieniche della città sotto assedio, in cui era era tagliata la fornitura di acqua ed elettricità a gran parte della popolazione; Fino ad allora era considerato problema sanitario delle campagne e le autorità cittadine non erano preparate ad affrontarlo. Si diffuse dapprima all’interno del VII distretto, il ghetto ebraico, diventato anche una trappola sanitaria, e in seguito nelle aree più densamente popolate e ancora sprovviste di rete fognaria, in una città che era cresciuta a una velocità inimmaginabile negli ultimi decenni, dove l’acqua infetta sgorgava per le strade. Era un’altra Budapest, le donne dei quartieri periferici andavano a lavare i panni nei pozzi artesiani del Varosliget, creando così nuovi focolai. Il tasso di mortalità tra i contagiati raddoppiò dal 5 al 10% facendo temere un’esplosione dei contagi nei mesi caldi, quelli più a rischio.
La Battaglia di Budapest finì con la liberazione ad opera dell’armata rossa il 18 gennaio 1945 per Pest, e circa un mese dopo a Buda, ma la miseria e la scarsa igiene regnarono ancora a lungo per le strade della capitale e l’epidemia non si arrestò. Una delle vittime più illustri del tifo fu la soprano Ilonka Szabo, che aveva anche aderito al movimento antifascista clandestino. La celebre cantante poco prima di spirare nella sua casa di Buda diede alla luce un bambino mentre era bruciata da febbre altissima che arrivò a toccare i 41°C. Nell’ospedale di Wesselenyi utca, che ufficialmente aveva 268 posti letto, si registravano un migliaio di malati quando il tifo fece la sua comparsa tra i reparti; non si hanno dati precisi sulle vittime che mieté l’epidemia qui, ma di certo ci furono tre vittime tra medici.
In una Budapest che contava circa un milione di abitanti erano 9000 i contagiati ufficiali, numero che bisogna moltiplicare di varie volte dato il caos che regnava nell’amministrazione pubblica. La situazione era aggravata dai soldati che tornavano dal fronte e dalla difficoltà nel ritirare i rifiuti, una situazione esplosiva per un’epidemia di tifo. L’immondizia rimase per le strade per due mesi..
Ma la città resistette e si riuscì ad approntare la vaccinazione di massa, seppur in circostanze eccezionali. Lo sviluppo e la produzione del vaccino fu diretta dall’epidemiologo Karoly Ujhelyi e il piano vaccinale dal dottor Tibor Bakacs, che era scappato nel ’44 da un campo di lavoro per oppositori politici, ed era giunto a Budapest, anch’egli malato, negli ultimi giorni della guerra, iniziando subito a lavorare nel distretto di Zuglo felice di aiutare a difendere la salute dei “proletari di Budapest”. Karoly Ujhely era invece il principale virologo ungherese anche ai tempi di Horthy, si era occupato della produzione di vaccini e durante la guerra aveva diretto il maggior istituto di biologia del paese, trasferito a Tihany, sul Balaton per ragioni di sicurezza nazionale. Fu lui a occuparsi del trasporto dei ceppi batterici dalla provincia, della costituzione di laboratori temporanei per la coltura del siero, della fornitura di alcol denaturato e garze.
Si decise la vaccinazione della fascia di popolazione più a rischio, le persone tra i 10 e i 50 anni, rendendola obbligatoria per coloro che avevano tra i 20 e i 40 anni e consigliata per gli abitanti tra i 10 e i 20 e tra i 40 e i 50. Le casse comunali erano vuote e si dovette pensare a un prezzo, seppur contenuto, per il vaccino equivalente a un biglietto del tram, per ogni dose.
La prima fase della campagna di vaccinazione riguardò il XIV distretto, Zuglo, quello del dr. Bakacs, erano in tutto tre dosi somministrate a una settimana di distanza, e si concluse entro il periodo pasquale. Dopo questo test la vaccinazione si estese poi all’intera capitale. Nei quartieri popolari molti furono coloro che volevano rifiutare il vaccino e si dovette pensare a legare la distribuzione dei buoni alimentari solo dietro presentazione del certificato di vaccinazione. I centri di somministrazione erano gli ambulatori dei medici di famiglia, i centri medici delle grandi fabbriche ma anche studi medici privati. Ci fu anche l’errore di un assistente che inavvertitamente sostituì il disinfettante con un benzina, causando malori in 400 assistiti e la morte di una donna.
Circa 250.000 persone furono vaccinate prima dell’estate, la stagione più critica, prevenendo lo scoppio di un’epidemia di ben maggiori proporzioni. Quello che sarebbe successo senza la vaccinazione è ben evidenziato dal caso del quartiere Agusta-telep, in cui la vaccinazione non iniziò in tempo e il numero di infetti aumentò di cento volte, ma l’epidemia rimase contenuta nell’area e non si diffuse nei distretti circostanti.
I dati ufficiali riportano che nel 44, rispetto all’anno precedente ci furono16000 casi in più di morti per malattia.
- – la storia della grande epidemia di colera di Budapest nell’800 l’ho raccontata qui su Danubio: L’Ungheria ai tempi del colera